lunedì 27 agosto 2012

Lo spinning in mare - Parte settima




TECNICHE DI PESCA CON GLI ARTIFICIALI
NEL MEDITERRANEO

LO SPINNING IN MARE
Parte settima



Surface lures. Nei miei primi 10 anni di spinning in mare, ammetto di non averli nemmeno provati. Poi, per qualche anno, solo dei sporadici tentativi. La “febbre da surface” mi contagia, invece, nel 2001 per colpa di Nicola Zingarelli, che non perde occasioni per decantarmi  l’effetto adrenalinico di un attacco a galla. Non era possibile non dargli credito sia per l’entusiasmo con cui ne parlava, sia per l’infinita competenza che lo ha sempre distinto in tutte le sue affermazioni. Dopo qualche settimana mi vedo recapitare un pacco inviato proprio da Nicola: una manciata di Striper Strike della Creek Chub facevano capolino dalla scatola, invitandomi a provarli immediatamente. 


Detto fatto, mi trovo in pieno ottobre a lanciarli da una scogliera, con il moto ondoso leggermente sostenuto ed il sole alto nel cielo. “Ricordati di recuperarli a manetta, quasi che volino sopra la superficie” erano state le sue ultime parole al telefono. Al terzo lancio il popper fende la superficie del mare come una lama e, improvvisamente, l’acqua dietro di lui si “gonfia”;  pochi interminabili istanti con il fiato sospeso ed il cuore in gola e, prima ancora di rendermene conto, una schiena esce dall’acqua e parte il cicalino dello strike. Non ho idea di cosa fosse perché mi tremavano le gambe, mi ero completamente dimenticato di ferrare e dopo nemmeno un minuto avevo perso il pesce! So solo che in seguito non ho mai dimenticato di portarmi un “surface lure” nella manciata di artificiali che selezionavo per un’uscita di pesca.
Evito di entrare nel dettaglio di quanto avvenne negli anni a seguire, anche perché “la saga del  popper” è ancora oggi abbondantemente documentata negli archivi 2001-2003 dei forum tematici, quello di Seaspin in primis: di certo, a discapito di quanto si credeva fino allora e per merito del ruolo fondamentale di Nicola Zingarelli, il surface fishing contribuì ad effettuare le prime catture importanti di grossi pelagici nella pesca a spinning da terra.
La famiglia dei surface lures è molto vasta: viaggia dal classico popper nelle varie versioni (galleggiante, affondante, a bocca larga, con uscite laterali idrodinamiche, a taglio piatto, con coda in gomma, etc., etc.) al pencil popper, passando per gli skipping lures (i mitici Ranger che chiamavamo “saponette”) e per finire con il misconosciuto e sottovalutato needle fish lure.
Tra tutti i surface, quello che ancora oggi riesce ad entusiasmarmi è il walkin’ the dog, spesso abbreviato semplicemente con WTD. Tra i nomi delle tecniche di pesca con gli artificiali probabilmente non ne esiste altro più esplicativo ed immediato: “portare a passeggio il cane”, o “a passeggio con il cane”. L’espressione rende immediatamente un’immagine a cui tutti, credo, abbiamo assistito almeno una volta nella vita: un cane al guinzaglio che si muove a zig zag, con un incedere nervoso, veloce ed incostante, mentre il suo padrone cerca di non inciampare sul guinzaglio. Il WTD è un artificiale eclettico se recuperato correttamente in mare (cosa non proprio intuitiva) e, spesso, risolve delle situazioni di pesca con predatori svogliati o sospettosi. Prima di procedere
è bene sottolineare un’importante distinguo: il Walkin’ the Dog in mare è innanzitutto una tecnica di recupero, ispirata ed adattata dalle acque interne da un artificiale, lo Zara Spook, che con la sua forma a sigaro e l’andamento errante “side to side”  riusciva a rendere aggressivi anche i bass svogliati. Tale tecnica può essere applicata sia ad artificiali successivamente nati e pensati espressamente per essere dei veri e propri WTD in mare,  sia a certi popper, che alla maggior parte dei pencil.
Il colpo di fulmine con questa tecnica di recupero avvenne nell’autunno del 2003; pausa pranzo con un panino e coca in barca e mare infestato da lampughe, purtroppo decisamente svogliate. Avevo tentato di tutto: jig di varie dimensioni e colori, poppy, jerk, popper recuperati a qualsiasi velocità. Niente sembrava stimolarle e riuscivo ad ottenere solo degli inseguimenti svogliati che si concludevano sempre con uno scarto finale. Avevo fatto l’ultimo tentativo “tradizionale” con un polaris popper di Gibb’s e, forse più per disperazione che per voglia di sperimentare qualcosa di nuovo, provai un recupero in cui l’artificiale muoveva molta acqua di lato senza necessariamente dover avere la velocità del popper: il primo attacco avvenne subito e ne seguirono molti altri. Situazione simile, ma da scogliera qualche settimana dopo: lecce giganti che inseguono il Ranger fino a sfiorarlo con il muso, ma nessun attacco portato a termine. Al cambio di artificiale provo di nuovo il recupero WTD e ottengo uno strike al primo lancio. In seguito ebbi modo di verificare che questo tipo di recupero funzionava perfettamente con i serra, con le spigole e persino con i barracuda, anche se questi ultimi solo in particolari situazioni.
WTD: un po’ di storia. La tecnica chiamata walkin’ the dog è nata in acque interne e più precisamente nel bass fishing, dove probabilmente abbiamo il più alto livello di specializzazione della pesca a spinning e da dove lo spinning in mare ha spesso “prelevato” tecniche e/o artificiali per poi modificarle/i per l’uso in saltwater. Gli americani, per esempio, hanno “esportato” questa tecnica in acque salate, applicandola nelle flat e nei back country di molti stati del sud-est ottenendo risultati eccellenti con gli snook.
Ciò che sostanzialmente cambia dall’uso in acque interne a quello in acque salate è la velocità del movimento e, di conseguenza, il sincronismo dei movimenti.
Il WTD in acque interne è un movimento che per l’uso in mare potremmo definire lento: canna bassa, lenza leggermente in bando e piccoli colpi di polso ben cadenzati durante il recupero: in questo modo all’artificiale si imprime un andamento che disegna una esse sulla superficie; ai fini del movimento superficiale è molto importante avere un leggero bando di lenza, perchè è proprio quello che permette di ottenere il cosidetto “side to side”. In altre parole non avremo mai la lenza in perfetta tensione, se non nei momenti di richiamo, mentre subito dopo tenderemo a lasciarla in bando in modo che l’artificiale possa effettuare il cambio di direzione, che verrà maggiormente accentuato quanta più lenza avremo lasciato in bando.

A questo punto parlare di recupero WTD in velocità sembrerebbe un controsenso, ma bastano poche piccole accortezze per ottenere un buon movimento veloce e sufficientemente “isterico” da renderlo adatto anche ai predatori del mare. Imprimere al nostro artificiale un movimento walkin’ the dog veloce, almeno in una fase iniziale, non è facile, sebbene e come sempre sia un movimento più facile a farsi che non a dirsi. Innanzitutto dobbiamo dimenticarci del lasco, o meglio, dobbiamo restringere il lasco della lenza a livelli infinitesimali, così come i movimenti del polso sul cimino; in questo caso, infatti, il movimento WTD verrà dato più dal giro di manovella che effettueremo sul mulinello che non dal polso, al punto tale che possiamo considerare quasi dannoso un movimento ampio del cimino (sostanzialmente una jerkata) che, il più delle volte, è causa di una sovvraposizione tra amo e lenza, in quanto la velocità di recupero sommata allo “strappo” eccessivo porterebbe l’artificiale a balzare fuori dall’acqua e superare il terminale stesso.
Per capire meglio il movimento da effettuare nel girare la manovella del mulinello è meglio servirci di un esempio: immaginate di imprimere una forte spinta ad un pendolo libero di oscillare per 360 gradi. Il movimento rotatorio avrà una fase iniziale lenta (la risalita) per poi accelerare durante la discesa, avere un picco di velocità massima nel punto più basso e poi, lentamente, decelerare finchè il tutto non ricomincia daccapo. Sinteticamente questo è il movimento che noi dobbiamo imprimere alla manovella, dove al picco di velocità massima di ogni giro di manovella abbiniamo un leggerissimo spostamento indietro del cimino (4-5 cm. al massimo), tenendo conto che avremo la canna leggermente laterale e bassa verso la superficie del mare in condizioni di mare calmo, mentre sarà un pochino più alta con mare mosso.
Ovviamente l’andamento “side to side” di un WTD veloce avrà un angolo molto più ristretto rispetto al movimento che utilizziamo nelle acque interne, ma questo stesso angolo, sommato alla rapidità dei picchi di velocità del recupero, contribuirà a creare vistosi spruzzi laterali, “scodamenti” del corpo dell’artificiale fuori dall’acqua, affondamenti appena sotto la superficie per poi risalire a galla e ricominciare tutto daccapo. In altre parole esattamente ciò che si intende imitare, cioè la fuga scomposta e disperata di un piccolo pesce spaventato dalla vista di grossi predatori.
Ovviamente quando parliamo di velocità nel recupero WTD non intendiamo minimamente quella del recupero di un popper o di uno skipping lure; è una velocità complessiva simile a quella di un normalissimo jerk da mare, a volte persino più lenta: verrà dettata in primis dall’effetto “surface” degli sbandamenti laterali del tipo di artificiale che stiamo usando.

Facciamo un’ultima considerazione sulla vista del predatore: la visione è un cono leggermente inclinato verso l’alto, dove ad un angolo di campo limitato, frontale e bioculare si affianca un ampio angolo di campo laterale e monoculare.


L’inseguimento e l’attacco di un predatore in velocità avvengono con una dinamica simile a questa:


dove l’attacco finale viene portato con una rotazione di 180 gradi a lato della preda.
Il WTD ci permette di stimolare l’aggressività del predatore al pari del popper (personalmente ritengo anche in forma superiore) per movimento d’acqua e vibrazioni, ma la sua velocità ridotta evita sia quegli attacchi a vuoto tipici dei recuperi più veloci, sia la possibilità che il predatore si insospettisca per una velocità troppo anomala di una piccola preda.

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