lunedì 1 luglio 2013

Elective Affinities - parte prima.







Probabilmente Johann Wolfgang non apprezzerà l’averlo citato per esser gettato in pasto alla “vulgata” della pesca sportiva, ma in realtà il titolo altro non è che il richiamo a Herman Boerhaave e Geoffroy l'Aîné per le loro ricerche sul concetto di affinità chimiche, cioè una proprietà degli elementi chimici che indica la tendenza di uno di loro a legarsi con un altro.
Probabilmente starete pensando che mi sono fumato un’altra canna, ma non è così; nella pesca sportiva, come nelle arti e nei mestieri esistono due vie da seguire: quella che porta ad un risultato che poi consente di fermarsi e compiacersi di se stessi oppure quella che non vi soddisfa mai, che continua a mordervi le viscere e vi spinge a cercare la costruzione di un’armonia!
Quest’ultima frase potrebbe dire tutto o niente allo stesso tempo; dipende solo da voi. Se siete impregnati di materialismo alla Robert Boyle e pensate che il fondamento e la sostanza della realtà hanno una natura materiale, non inoltratevi nella lettura di questo post, perché vi annoierà e non vi porterà a nulla.
Se invece pensate, senza sconfinare nelle spiritualità asiatiche del Buddismo o del Vedānta, che la ricerca all'interno di un’arte o di un mestiere non debba mai finire e che quella via sia tesa verso l’infinito o, quantomeno, verso la ricerca di una perfezione individuale, vi invito a proseguire nella lettura, nella speranza di essere in grado di darvi alcuni spunti degni di nota.






Bene, avete deciso di passare il Rubicone e vi chiedo subito di fare un passo indietro. Vi siete mai domandati perché avete scelto di pescare con gli artificiali?

Perché è una tecnica più catturante?
Perché lo facevano i vostri amici?
Perché vi piace mangiare il pesce fresco?
Perché poi potete postare su internet le vostre catture?
Perché la vostra vita è così sfigata che la notorietà sulla rete la rende salace?

Se anche una sola di queste risposte fa al caso vostro, potete schiacciare qui ed evitare di tornare indietro.

Se le motivazioni sono più profonde possiamo intenderci sul prosieguo di questo post. Abbiamo visto in precedenza come un piccolo apprendista stregone riusciva a dare, con i movimenti della canna, un’anima ad un pezzo di legno appena forgiato (vedi “Alle origini del male” in questo stesso blog).
Si può andare oltre questa essenzialità? Si può superare un limite tecnologico guardandosi indietro? 

Personalmente ritengo di si!

Frank Borman, nel Natale del ’68, a bordo dell’Apollo 8, vide per la prima volta la terra molto aldilà dell’atmosfera terrestre; al suo rientro disse: Eravamo i primi umani a vedere il mondo nella sua maestosa totalità, un’esperienza emotivamente intensa per ciascuno di noi. Non dicemmo nulla l’uno all’altro, ma sono sicuro che i nostri pensieri fossero identici. Le nostre famiglie su quel globo rotante. E forse condividemmo un altro pensiero che ebbi allora… “questo deve essere ciò che vede Dio”.




Disse anche che dopo quella visione cambiò il suo modo di vedere le cose e di rapportarsi al mondo che ci circonda! Eppure l’eccezionalità dell’evento potrebbe essere ridotta all’aver semplicemente visto dall’alto ciò che ognuno di noi vede tutti i giorni dal basso!

In realtà, il saper vedere le cose dal di fuori, è quanto di più costruttivo possiamo fare anche nei piccoli problemi di tutti i giorni ed in seguito questo stesso concetto ci sarà utile.

Ma torniamo a noi e alla nostra ricerca di un’armonia! Alcuni mesi or sono, Robert, un amico fotografo pubblicitario di Los Angeles, mi ha raccontato un aneddoto divertente. In un grosso centro commerciale commissionano gigantografie (3 x 2 mt.) per una manifestazione promozionale di gioielli. Lui realizza le sue immagini in analogico, nel formato 6x9 con una modestissima (si fa per dire) Mamiya Super 23 (una press camera dotata di dorso basculante che consente l’applicazione della Regola di Scheimpflug per la profondità di campo); successivamente le fa digitalizzare su uno scanner a tamburo e le consegna alla tipografia dove vengono stampate per essere montate su plexiglass. I suoi sono file da ben 280 MP, ricavati da un potenziale sensore di 7,8 x 5,8 cm. (la superficie realmente “sensibile” del negativo 6x9); all’inaugurazione della manifestazione alcuni colleghi che avevano realizzato immagini simili per altri committenti, con una non celata punta di invidia, gli chiedono come ha fatto ad ottenere tutta quella definizione e quella profondità di campo su ingrandimenti così spinti. E’ solo possibile immaginare la faccia di chi, in quel momento, ha scoperto che una semplice Mamiya Super 23 è in grado di superare, in termini di qualità, una Hasselblad H5D-40 da 17mila dollari!




Robert non è un fanatico della tecnologia, non è una persona che si atteggia a maestro nei forum di fotografia della rete, crede semplicemente nel suo lavoro e ricerca, in primis, la qualità; paradossalmente quest’ultima l’ha trovata guardandosi indietro, tornando alle origini di quella cosa, osservando, giustamente, che nella fotografia una maggior dimensione della pellicola o dell’elemento sensibile garantisce maggior definizione e ricchezza del dettaglio, che una migliore profondità di campo si ottiene con la Regola di Scheimpflug e non con la sola chiusura del diaframma. In questo caso qualcuno di voi obietterà che, a breve, sulle macchine digitali avremo un programma che, sovrapponendo più immagini a diverse distanze di messa a fuoco, consentirà la profondità di campo da 0 all’infinito e che l’evoluzione dei sensori al plasma garantirà maggiore qualità! La realtà è più semplice e distingue sempre un uomo da un primate con i pollici opponibili: la conoscenza e la semplicità! Anche quando i sensori arriveranno a raggiungere la definizione di una GF da 8x10”, la Regola di Scheimpflug rimarrà valida e non possiamo pensare di definirci Fotografi se non conosciamo i fondamenti di questa tecnica antica e moderna allo stesso tempo, cioè la fotografia meccanica e chimica!
Sarebbe come pensare che giocando con la playstation (in questo caso quella vera e non come solitamente intendo le macchine fotografiche digitali) e con tutti gli accessori di F1 posizionati sul livello “pilota professionale”, potremmo essere in grado di guidare una vera F1 in pista!!!!!!!!!!!!

Bene, tutto questo divagare per poi essere lì, all’apice di marea e con l’acqua all’altezza della cintura dei nostri wader ….. e quel concetto di apprendista stregone con il pezzo di legno appena forgiato che non ci convince più di tanto!

Anche in questo caso abbiamo davanti due strade:

a) tra i meandri delle nostre tasche abbiamo nascosto il nostro ultimo ritrovato tecnologico, il nuovo artificiale supercatturantechesvirgoladasolo, rivestito in vera pelle di pesce …... la tentazione di usarlo e di affidarci a lui è forte ….. Poseidone ci perdonerà di sicuro!

b) mandiamo a quel paese l’attrezzatura da spinning e impariamo a pescare a mosca in mare!




Lo so, lo so, a questo punto molti di voi mi manderanno a quel paese, ma fermatevi soltanto un attimo a ragionare. Non stiamo parlando di popping ai pelagici da terra, non ci troviamo di fronte alla necessità di gittate superiori ai 50 metri e velocità di recupero impensabili per lo stripping da mosca: stiamo parlando di una pesca in caccia, da effettuare in wading su predatori stanziali che non distano che poche decine di metri!



…………… continua!










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