Probabilmente Johann Wolfgang non
apprezzerà l’averlo citato per esser gettato in pasto alla “vulgata” della
pesca sportiva, ma in realtà il titolo altro non è che il richiamo a Herman
Boerhaave e Geoffroy l'Aîné per le loro ricerche sul concetto di affinità
chimiche, cioè una proprietà degli elementi chimici che indica la tendenza di
uno di loro a legarsi con un altro.
Probabilmente starete pensando che mi sono
fumato un’altra canna, ma non è così; nella pesca sportiva, come nelle arti e
nei mestieri esistono due vie da seguire: quella che porta ad un risultato che
poi consente di fermarsi e compiacersi di se stessi oppure quella che non vi
soddisfa mai, che continua a mordervi le viscere e vi spinge a cercare la
costruzione di un’armonia!
Quest’ultima frase potrebbe dire tutto o
niente allo stesso tempo; dipende solo da voi. Se siete impregnati di
materialismo alla Robert Boyle e pensate che il fondamento e la sostanza della
realtà hanno una natura materiale, non inoltratevi nella lettura di questo
post, perché vi annoierà e non vi porterà a nulla.
Se invece pensate, senza sconfinare nelle
spiritualità asiatiche del Buddismo o del Vedānta, che la ricerca all'interno di un’arte o
di un mestiere non debba mai finire e che quella via sia tesa verso l’infinito
o, quantomeno, verso la ricerca di una perfezione individuale, vi invito a proseguire nella lettura, nella speranza di essere in grado di darvi alcuni spunti degni di nota.
Bene, avete deciso di passare il Rubicone e vi
chiedo subito di fare un passo indietro. Vi siete mai domandati perché avete
scelto di pescare con gli artificiali?
Perché è una tecnica più catturante?
Perché lo facevano i vostri amici?
Perché vi piace mangiare il pesce fresco?
Perché poi potete postare su internet le
vostre catture?
Perché la vostra vita è così sfigata che la
notorietà sulla rete la rende salace?
Se anche una sola di queste risposte fa al
caso vostro, potete schiacciare qui ed evitare di tornare indietro.
Se le motivazioni sono più profonde possiamo
intenderci sul prosieguo di questo post. Abbiamo visto in precedenza come un
piccolo apprendista stregone riusciva a dare, con i movimenti della canna,
un’anima ad un pezzo di legno appena forgiato (vedi “Alle origini del male” in
questo stesso blog).
Si può andare oltre questa essenzialità? Si
può superare un limite tecnologico guardandosi indietro?
Personalmente ritengo
di si!
Frank Borman, nel Natale del ’68, a bordo
dell’Apollo 8, vide per la prima volta la terra molto aldilà dell’atmosfera terrestre;
al suo rientro disse: Eravamo i primi
umani a vedere il mondo nella sua maestosa totalità, un’esperienza emotivamente
intensa per ciascuno di noi. Non dicemmo nulla l’uno all’altro, ma sono sicuro
che i nostri pensieri fossero identici. Le nostre famiglie su quel globo rotante.
E forse condividemmo un altro pensiero che ebbi allora… “questo deve essere ciò
che vede Dio”.
Disse anche che dopo quella visione cambiò il
suo modo di vedere le cose e di rapportarsi al mondo che ci circonda! Eppure
l’eccezionalità dell’evento potrebbe essere ridotta all’aver semplicemente
visto dall’alto ciò che ognuno di noi vede tutti i giorni dal basso!
In realtà, il saper vedere le cose dal di
fuori, è quanto di più costruttivo possiamo fare anche nei piccoli problemi di
tutti i giorni ed in seguito questo stesso concetto ci sarà utile.
Ma torniamo a noi e alla nostra ricerca di
un’armonia! Alcuni mesi or sono, Robert, un amico fotografo pubblicitario di
Los Angeles, mi ha raccontato un aneddoto divertente. In un grosso centro
commerciale commissionano gigantografie (3 x 2 mt.) per una manifestazione
promozionale di gioielli. Lui realizza le sue immagini in analogico, nel
formato 6x9 con una modestissima (si fa per dire) Mamiya Super 23 (una press
camera dotata di dorso basculante che consente l’applicazione della Regola di Scheimpflug
per la profondità di campo); successivamente le fa digitalizzare su uno scanner
a tamburo e le consegna alla tipografia dove vengono stampate per essere
montate su plexiglass. I suoi sono file da ben 280 MP, ricavati da un
potenziale sensore di 7,8 x 5,8 cm. (la superficie realmente “sensibile” del
negativo 6x9); all’inaugurazione della manifestazione alcuni colleghi che
avevano realizzato immagini simili per altri committenti, con una non celata
punta di invidia, gli chiedono come ha fatto ad ottenere tutta quella
definizione e quella profondità di campo su ingrandimenti così spinti. E’ solo
possibile immaginare la faccia di chi, in quel momento, ha scoperto che una
semplice Mamiya Super 23 è in grado di superare, in termini di qualità, una Hasselblad
H5D-40 da 17mila dollari!
Robert non è un fanatico della tecnologia, non
è una persona che si atteggia a maestro nei forum di fotografia della rete,
crede semplicemente nel suo lavoro e ricerca, in primis, la qualità; paradossalmente
quest’ultima l’ha trovata guardandosi indietro, tornando alle origini di quella
cosa, osservando, giustamente, che nella fotografia una maggior dimensione
della pellicola o dell’elemento sensibile garantisce maggior definizione e
ricchezza del dettaglio, che una migliore profondità di campo si ottiene con la
Regola di Scheimpflug e non con la sola chiusura del diaframma. In questo caso
qualcuno di voi obietterà che, a breve, sulle macchine digitali avremo un
programma che, sovrapponendo più immagini a diverse distanze di messa a fuoco,
consentirà la profondità di campo da 0 all’infinito e che l’evoluzione dei
sensori al plasma garantirà maggiore qualità! La realtà è più semplice e
distingue sempre un uomo da un primate con i pollici opponibili: la conoscenza
e la semplicità! Anche quando i sensori arriveranno a raggiungere la
definizione di una GF da 8x10”, la Regola di Scheimpflug rimarrà valida e non
possiamo pensare di definirci Fotografi se non conosciamo i fondamenti di
questa tecnica antica e moderna allo stesso tempo, cioè la fotografia meccanica
e chimica!
Sarebbe come pensare che giocando con la
playstation (in questo caso quella vera e non come solitamente intendo le
macchine fotografiche digitali) e con tutti gli accessori di F1 posizionati sul livello “pilota
professionale”, potremmo essere in grado di guidare una vera F1 in pista!!!!!!!!!!!!
Bene, tutto questo divagare per poi essere lì,
all’apice di marea e con l’acqua all’altezza della cintura dei nostri wader …..
e quel concetto di apprendista stregone con il pezzo di legno appena forgiato che
non ci convince più di tanto!
Anche in questo caso abbiamo davanti due
strade:
a) tra i meandri delle nostre tasche abbiamo
nascosto il nostro ultimo ritrovato tecnologico, il nuovo artificiale
supercatturantechesvirgoladasolo, rivestito in vera pelle di pesce …... la
tentazione di usarlo e di affidarci a lui è forte ….. Poseidone ci perdonerà di
sicuro!
b) mandiamo a quel paese l’attrezzatura da
spinning e impariamo a pescare a mosca in mare!
Lo so, lo so, a questo punto molti di voi mi
manderanno a quel paese, ma fermatevi soltanto un attimo a ragionare. Non
stiamo parlando di popping ai pelagici da terra, non ci troviamo di fronte alla
necessità di gittate superiori ai 50 metri e velocità di recupero impensabili
per lo stripping da mosca: stiamo parlando di una pesca in caccia, da
effettuare in wading su predatori stanziali che non distano che poche decine di metri!
…………… continua!
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