martedì 26 marzo 2013

Soft Bait Fishing - parte prima








Mi sono chiesto spesso se esiste un limite alla “stupidità” umana, ma ogni volta la risposta è la stessa: NO!

Ammetto che, a volte, il feticismo è in grado di narcotizzare anche le menti più eccelse, ma senza entrare nei paradossi del “1 Million Dollar Fishing Lure” disegnato nel 2006 da Mac McBurney, costruito in oro e titanio con ben 4.753 diamanti e rubini, oppure del jerkbait di qualche anno fa che, con un sistema di elica ad elastico, si ricaricava durante il recupero e poi, in bando, tornava indietro, onestamente ritengo che la via della semplicità venga quasi sempre esclusa dagli spinner.

Ammetto anche che non sono “nato saputo” e meno che meno appartengo ai messia “unti” della pesca; anch’io, come tanti, in passato mi sono fatto prendere dalla febbricitante sete della novità in fatto di artificiali: nuove livree, nuovi colori, nuovi modelli che sostituivano i precedenti e così via!



Salvo poi rendermi conto che l’artificiale deve catturare innanzitutto il pescatore e, solo in seconda istanza e non sempre, il pesce! Credo che il mio primo articolo sulle soft bait risalga al 2002, ma i primi esperimenti risalivano all’ultimo decennio del secolo scorso. A più di 15 anni di distanza continuo a trovarle delle esche eccezionali e, se parliamo strettamente di pesca in wading alla spigola, le considero le migliori in assoluto!



Due considerazioni sull’azione di pesca.

La selettività in azione di pesca sta diventando sempre più necessaria sia per il depauperamento delle acque, sia per il forte implemento della pressione di pesca sportiva avvenuta nell’ultimo decennio.

Tutto questo come si traduce? Che dobbiamo adattare la nostra tecnica (in primis il tipo di nuoto, profondità e velocità di recupero del nostro artificiale) alla situazione di pesca reale che ci si pone davanti (sigth fishing) o che si suppone accada (blind fishing). Ovviamente la pressione di pesca di un’area fa si che la finestra temporale della predazione sia sempre più ridotta e che quest’ultima, soprattutto a cavallo di sbalzi di pressione, avvenga in modo inaspettato: ci aspettiamo, per esempio, un predatore lento e intorpidito e, invece, lo troviamo dinamico e a galla. 



Beh, per capirci meglio, proviamo a fare un esempio concreto: stiamo pescando in wading, a inizio primavera, su un tratto di costa esposto a sud-est con profondità media tra 0,80 e 2 metri. L’alba è passata da poco e ci troviamo sul picco di marea; il cielo è semicoperto da nuvole e i venti, leggermente freddi, provengono dal settore nord occidentale portandoci la bassa pressione. Proviamo a sfiorare le pozze di sabbia (o le macchie di posidonia) con il nostro jerk, aspettandoci un predatore leggermente impigrito e in agguato vicino al fondo. Improvvisamente, magari subito dopo un lancio molto lungo sulla nostra sinistra, vediamo i segni di una cacciata a galla verso la nostra destra!

Cosa è successo?

Alla faccia di tutte le nostre considerazioni empiriche del momento, non sapevamo che il tratto di costa, nei tre giorni precedenti, era stato battuto da venti leggeri e correnti di scirocco: la temperatura del mare era salita e il pesce foraggio stazionava in piccoli branchi vicino alla superficie!

Cosa facciamo?

Recuperiamo a manetta il nostro jerk, frughiamo confusamente tra la nostra borsa, finalmente troviamo in nostro WTD preferito, lo montiamo velocemente e cerchiamo di lanciare in direzione delle cacciate appena viste.



Beh, innanzitutto partiamo con l’analisi degli errori:



a) Non avevamo considerato il meteo precedente (almeno tre giorni prima) e non ci siamo nemmeno preoccupati di misurare la temperatura dell’acqua dello spot dove volevamo pescare;



b) abbiamo perso un sacco di tempo a togliere l’artificiale, riporlo da qualche parte, cercare la scatola con il WTD, montare il WTD e lanciare;



c) ultimo, ma non ultimo, abbiamo perso di vista il pesce e, soprattutto, la direzione verso la quale si stava muovendo!



Se quella finestra temporale era estremamente ridotta, come purtroppo avviene sempre più spesso, la nostra giornata di pesca è già finita nel peggiore dei modi!



Sorvolando sul primo punto (anche un termometro galleggiante lanciato per verificare la temperatura del mare ci dice poco se non abbiamo parametri storicizzati in precedenza) e tralasciando il secondo al maggiore approfondimento della succesiva parte di questo post, perdiamo qualche minuto per alcune considerazioni sul terzo.




Personalmente ritengo la pesca a vista (sigth fishing) l’esperienza più adrenalinica nell’ambito dello spinning e della pesca  a mosca in mare. Vedere l’acqua che si solleva dietro al nostro artificiale e la successiva violenza della predata superficiale è un’emozione unica.

Nel caso specifico della spigola a galla, l’inseguimento dell’esca artificiale, contrariamente a come avviene con tanti altri predatori, non è diretto e veloce, ma spesso è contraddistinto da incertezze che potremmo meglio simbolizzare come “slanci e pause”; in questo caso è fondamentale l’azione del recupero a galla che abbiamo già avuto modo di descrivere in altro post di questo blog, precisando che per WTD intendiamo un tipo di recupero che si adatta sia ad un WTD vero e proprio, sia alla maggior parte degli artificiali da superficie galleggianti. In questo caso sarà la nostra abilità nel gestire la velocità e le pause del recupero dell’artificiale, assecondando e stimolando “slanci e pause” dell’inseguimento della spigola, a portarci ad un attacco o ad un rifiuto!



Ma torniamo al punto c) precedente: “abbiamo perso di vista il pesce e la direzione verso cui si stava muovendo”. E’ l’errore più stupido che si possa fare e che ci costringe, salvo nuova cacciata, a tornare ad un’azione di pesca cieca (blind fishing) dove possiamo avere sia la fortuna di lanciare ad un metro avanti alla sua bocca (meglio se leggermente di lato), sia palesemente oltre (o, peggio ancora, sopra) vanificando tutta l’azione di pesca e insospettendo il predatore che, tanto maggiore è la sua dimensione, tanto maggiore sarà la sua diffidenza!



La soluzione, ovviamente, sarebbe quella di eliminare il lasso temporale identificato con il punto b) e, per quanto può sembrarvi assurdo, la risposta è:  con le soft bait.



…….. continua.

2 commenti:

  1. Ciao Alessandro. Il 29 maggio, dopo più di dieci uscite, ho preso un piccolo sciarrano ed un polpo, con jighead da 4 gr e i gamberi di silicone (Shrimp Molix).
    Il mare calmo, come olio, poco dopo il tramonto alle 20,30 circa, a dieci centimetri dai miei piedi, ho visto dei pesci enormi, ho visto appena la coda e la pinna dorsale fuori dall'acqua, grossi tonfi e virate. Dei veri predatori del mare, che seguivano la mia esca fino al molo ma non l'attaccavano: erano delle lecce, dopo ho cercato le foto su internet... attimi emozionanti: al buio ho avuto l'idea sbagliata di rifare l'armatura e passare dal soft all'hard. Ho lanciato un popper, poi un un floating minnow: nulla, forse era troppo tardi oppure avrei dovuto insistere con il soft, oppure li ho spaventati io con i lanci e i tonfi sordi del minnow: non c'erano più...
    Questo tipo di pesca, malgrado i continui cappotti che mi riserva, regala anche questi momenti emotivi e a contatto con la natura selvaggia del mare a cui non ero più, da molto abituato. Ho capito che non devo usare le esche dure con il mare calmo, userò di più i siliconici, malgrado i continui incagli e il modo cattivo che ho di gestire ancora la pescata: jerkate troppo forti e gestione del mulinello o troppo lento o troppo veloce. Eppure qualcuno mi dice che con il silicone riescono a prendere tanti scorfani...Quanto devo imparare ancora! Questo modesto racconto di pesca per avallare il suo articolo, che mio malgrado, ho letto solo dopo. Grazie per il suo blog, una vera e propria miniera di consigli che leggerò tutti di un fiato, per un neofita come me di spinning. Saluti Marcello.

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