martedì 11 settembre 2012

Lo spinning in mare - parte undicesima



TECNICHE DI PESCA CON GLI ARTIFICIALI
NEL MEDITERRANEO

LO SPINNING IN MARE
Parte undicesima



Ulteriori note sul Catch & Release. Letteralmente “Cattura e Rilascia” e sul suo significato e la sua necessità di applicazione in mare credo che si sia già detto abbastanza; solo un’ignorante può pensare che le sue risorse siano infinite e che non vi sia la necessità di applicare il C&R! Innanzitutto vi è il problema della fascia costiera: qualsiasi biologo marino sa bene che, indipendentemente della sua apparente uniformità, il mare è un sistema complesso e certamente non meno differenziato della stessa terraferma. Nel sistema ecologico la fascia costiera (un’area che può essere intesa da zero alle 12 miglia verso il largo) rappresenta un luogo critico, almeno dal punto di vista della gestione delle risorse ittiche; tale fascia è ristretta a non più dell'1% dell'intera superficie oceanica, ma nella quale si ritrova oltre il 90% della vita marina; pertanto non ha senso parlare di protezione del mare senza considerare in primis il ruolo della fascia costiera. 

In secondo luogo abbiamo la diversità ittica: è noto che le specie catturabili in mare sono di gran lunga superiori di quelle delle acque interne, ma alcune di loro sono a rischio, altre sono in rarefazione e nel frattempo si manifesta la presenza massiccia di specie alloctone dovute agli effetti della tropicalizzazione delle acque. In altre parole la necessità del C&R in mare si applica anche a seconda delle specie, cercando di tutelare quelle a rischio: per esempio la spigola in molte aree vede ridotta la sua presenza per la crescente competizione alimentare con barracuda e pesci serra. 

Senza dover necessariamente sfociare negli assolutismi, ritengo che un C&R ragionato ed applicabile al  nostro mare possa prevedere il rilascio categorico di specie come la spigola, il dentice, la ricciola (in particolare quest’ultima che solitamente viene catturata agli stadi giovanili), mentre, se proprio non possiamo fare a meno di trattenere qualche saltuaria preda, consideriamo quantomeno quelle alloctone e per certi aspetti “infestanti”, come barracuda e pesci serra. La logica, comunque, ci porterebbe ad applicare il C&R in tutti quei casi in cui il pesce, a qualsiasi specie appartenga, è ancora allo stadio giovanile e non ha ancora completato il ciclo riproduttivo (meglio se consideriamo almeno il secondo ciclo riproduttivo), è in fase riproduttiva e quindi corriamo il rischio di allamare una femmina con le uova, oppure abbiamo il cosiddetto pesce trofeo, cioè un esemplare di grosse dimensioni. Contrariamente a quanto si crede un’esemplare di grosse dimensioni è per la specie stessa quanto di più prezioso esista: è un elemento “selezionato” dalla natura e quindi con un patrimonio genetico eccellente, non ha nemici in quanto avendo raggiunto quella dimensione non può più averne (farebbero eccezione gli squali, ma stanno scomparendo anch’essi e, chissà perché, l’Italia è uno dei più grossi consumatori di pinne e carne di squalo), ma soprattutto è un riproduttore fenomenale. Le grosse femmine di spigole, ricciole, lecce, etc. sono in grado di produrre parecchie migliaia di uova ad ogni frega e, pertanto, rappresentano quanto di più importante vi sia da proteggere. 

Considerate che in Italia la pesca in mare viene regolata da una legge obsoleta, la n° 963 del 14 luglio 1965, che per quanto riguarda la parte sportiva prevede il limite di 5 kg. di pescato o di un singolo pesce di peso superiore per pescatore al giorno; la legge identifica anche le misure minime trattenibili di alcune prede, ma questo è un argomento ridicolo e al limite del paradossale, al quale rimedia in minima parte la Regione Sardegna che, per alcune specie, ha elevato dette misure. Se infatti andiamo a vedere la misura della lampuga e della leccia abbiamo 25 cm. in Italia e 60 cm. in Sardegna, per il dentice ed barracuda mediterraneo 15 cm in Italia e 30 in Sardegna, ma poi molte altre specie come i saraghi, rispettivamente 15 e 20 cm., le spigole 23 e 25 cm. o le corvine 15 e 20 cm.  vengono applicate differenze minime totalmente prive di rilevanza.

La necessità di un aumento delle misure minime di tutte le specie è d’obbligo in un mare che si impoverisce ad ogni stagione. Permettere a ciascun pesce più cicli riproduttivi prima di poter essere trattenuto diventa essenziale per il ripopolamento del mare: pensate che una lampuga di 15 cm. è appena nata; che senso ha mettere la misura minima? Anni or sono un biologo mi esprimeva seri dubbi (peraltro condivisi dalla mia osservazione empirica) anche sulla misura minima dei 60 cm. applicata in Sardegna alla lampuga, alla leccia ed alla ricciola, in quanto non si è matematicamente sicuri che il pesce abbia avuto ancora modo di riprodursi. Allora queste misure minime sono state buttate a casaccio o, quanto meno, sono prive di qualsiasi fondamento scientifico? Credo proprio di si! Ecco dove, in assenza di una normativa seria, può essere solo il singolo pescatore ad imporsi un modello comportamentale di rispetto: 

ecco da dove nasce l’etica di un angler! 

Per trovare un fatto concreto che funga da esempio dobbiamo attraversare l’oceano e vedere quanto è successo in Nord America  per la spigola striata all’inizio degli anni ’80. La spigola striata (Moronae Saxatilis) è un lontano parente della nostra spigola, che però raggiunge dimensioni di gran lunga maggiori; rappresenta, assieme al pesce serra, la preda costiera per eccellenza nella pesca sportiva americana, ma, a differenza del blufish, la spigola striata assume anche una valenza culturale. Nella tradizione americana, infatti, la striped bass ha rappresentato una delle prime forme di economia marittima ai tempi in cui i territori del nord erano una semplice colonia della Nuova Inghilterra. I Padri Pellegrini sopravvissero al primo inverno nei nuovi territori grazie alla pesca sottocosta della striped e, molti anni più tardi, la prima scuola pubblica di Playmouth fu fondata nel 1670, proprio grazie ai proventi della pesca. Inoltre, un curioso annedoto di quei tempi, cioè la proibizione dell’uso delle striped seppellite nel suolo per fertilizzare il terreno (imparato dagli Indiani) sancita dalla Corte Generale della Colonia della Baia del Massachusetts, rappresentò la prima legge promulgata a favore della protezione di una specie. Tornando ai giorni nostri, verso la fine degli anni ’70, alcuni studi sulla specie evidenziarono il fatto che a Long Island, nell’arco di un decennio, seguendo il tasso di diminuzione evidenziato dalle ricerche di alcuni biologi, la spigola striata si sarebbe inesorabilmente estinta. Nel decennio successivo, su iniziativa di alcuni pescatori sportivi ed alcuni biologi, venne emanata una legge in cui venivano imposti dei limiti molto rigorosi per la cattura di questo pesce: la taglia minima trattenibile fu fissata in ottantacinque centimetri, che corrisponde ad un pesce di sei anni per otto chili di peso, in piena maturità sessuale ed in grado di aver già compiuto più cicli riproduttivi. Le polemiche che seguirono questa legge diedero vita ad una lunga ed aspra controversia, che vide schierati contro i limiti di cattura anche gruppi di pescatori sportivi tra cui Peter Matthiessen (naturalista, romanziere e pescatore sportivo), che riteneva il declino della specie dovuto essenzialmente all’inquinamento dei territori di deposizione delle uova. La spigola striata, contrariamente a quella nostrana, è anadroma, cioè risale il corso dei fiumi per la deposizione delle uova e molti dei fiumi dove avviene la riproduzione si trovano all’interno di un’area tra le più industrializzate del mondo. Ciò nonostante, dopo circa un decennio di applicazione fiscale di detti limiti sia da parte dei pescatori sportivi che di quelli professionali, la popolazione di spigole striate è ritornata ai livelli degli anni ‘60 e la sua presenza, ad est di Long Island, è segnalata praticamente ovunque. 

Se non impariamo presto ad applicare un serio C&R in mare, a promuovere la creazione di nuove aree di riproduzione, a denunciare chiunque commetta abusi, la “pozza d’acqua del mediterraneo” si svuoterà perfino di quei pochi pesci rimasti. Personalmente ho avuto la fortuna di vivere gli anni d’oro dello spinning in mare e potrei anche  pensare di “congedarmi”, cosciente che, per dirla con il personaggio di Norman McLean (In mezzo scorre il fiume), “i momenti felici non sono eterni, restano solo nella nostra memoria”.

Vorrei, invece, che tutte le nuove generazioni di angler possano avere la fortuna di vivere quello che abbiamo vissuto noi in quegli anni, ma tutto questo dipende solo da voi e da come sarete in grado di opporvi all’ignoranza e al menefreghismo! 

Questa è la responsabilità soggettiva di un angler!

Non ci sono altre alternative ed è rimasto poco tempo per poter rimediare, perché siamo già sul viale del tramonto!





4 commenti:

  1. Da garista di canna da riva e appassionato si spinning da solo 2 settimane non posso che trovarmi d'accordo con quanto detto in questo articolo. Il problema è che siamo in Italia e sono le istituzioni stesse a infrangere le leggi e a non farle rispettare. Circa 2 anni fa in questa zona ci fu una stagione di pesca spettacolare con Orate ovunque, era lo stesso anno in cui venne introdotto il permesso di pesca in mare gratuito. Ebbene quell'anno ogni pescatore qui in liguria ad Andora pescava una media di 8-10 orate ogni giorno. Ho un negozio di pesca e so per certo che alcuni miei clienti nel giro di 3 mesi hanno pescato qualcosa come 600-700 Orate a testa riposte in mega freezer o vendute sotto banco ai ristoranti della zona. In contemporanea i pescatori professionisti hanno cominciato a piazzare reti in ogni zona possibile e immaginabile poco fuori dalle boe del limite di balneazione. Io indignato presi e andai in capitaneria di porto a fare la spia ai miei stessi clienti perchè non è concepibile buttare in sacoccia ogni giorno tutto quel pesce senza ritegno solo per ingordigia. Risultato i miei clienti presero il verbale, i pescherecci venivano lasciati liberi di continuare a mettere le reti a distanze ridicole da terra e tutte quelle che non pescavano più i pescatori da terra venivano comunque tirate fuori dai pescherecci. Andai nuovamente in capitaneria a protestare la risposta fu "purtroppo non abbiamo fondi dalla marina per pagarci il gasolio e uscire in barca a fare i verbali". Il giorno dopo ero alla foce a pescare C&R qualche cefalo con la mia fissa, arriva una barca della capitaneria di porto e mi chiede il permesso. Una volta consegnato lo stesso gli dissi "Quindi la benzina per venire in barca a rovinare la giornata di pesca a me ce l'avete, mentre per fare il verbale a quelli che rovinano il mare no? Non c'è problema quello è il numero della vostra barca, domani in capitaneria di porto di Savona (quella che fa capo a tutte le capitanerie della provincia) arriverà una bella denuncia di questo vostro modo di far rispettare le leggi". Così feci. Ancora oggi i pescatori con i pescherecci sono in grado di fare qualunque cosa e non controllano nemmeno più i pescatori sulle scogliere. Se gli organi di competenza sono i primi a fregarsene delle regole, sarà veramente dura la pesca nei prossimi anni e noi, pochi appassionati seri e con rispetto per il nostro hobby, rimarremo solo una nicchia di inguaribili sognatori.

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  2. Ciao Luigi,

    purtroppo ti do ragione in tutto e temo proprio di essere da tempo nella "nicchia di inguaribili sognatori".
    Personalmente ho un'esperienza analoga alla tua: negli ultimi 10 anni ho fatto più di 50 denuncie alla Capitaneria per abusi vari nell’area del parco marino (reti, pesca sub, piccola traina, palamiti, etc.), a volte fermandomi inutilmente ad aspettarli su qualche promontorio fino al calar del sole, dopo averli contattati telefonicamente. In altri casi ho inviato delle mail alla Capitaneria (locale e nazionale) e alla Guardia Forestale con le fotografie delle barche in "azione di pesca abusiva", delle stesse ormeggiate nel porto (con tanto di indicazione del molo e del posto barca), con nomi e cognomi dei bracconieri e con le foto delle loro autovetture.
    Niente di niente!
    Sono intervenuti una sola volta, quando si trattava di una rete da posta per tonni messa all'interno del parco. Alla conferenza stampa che ne è seguita si sono gongolati del risultato, facendo intendere che era frutto di un loro controllo severo e serrato, anziché additare tale evento alla segnalazione di un cittadino responsabile (mi ero esposto in prima persona, ma avevo chiesto l’anonimato), in modo da poter essere di esempio ad altri!

    Onestamente delle istituzioni ne sono veramente schifato, ma vorrei, almeno per il momento, evitare di "gettare la spugna" e sperare che qualcosa in qualche micro cosmo nazionale possa cambiare per merito di qualcuno che, in qualsiasi modo (l'affermazione è volutamente aperta a qualsiasi illazione), ferma lo scempio a cui stiamo assistendo.

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  3. Mi permetto di intervenire anche io.
    Premetto che solo da poco mi sono avvicinato all spinning e la piu' grande soddisfazione, sopratutto come sensazione nuova per chi come me ha sempre vissuto il mare da cacciatore, è stata la liberazione di una spigoletta di nemmeno un chilogrammo di peso, peraltro la mia prima cattura.
    Pratico con grande passione la pesca in apnea fin da bambino, orgoglioso di aver maturato un'etica personale che mi porta a vivere una giornata in mare non solo ed esclusivamente finalizzata alla cattura. Rinucio spesso e volentieri all'uccisione fine a se stessa prediligendo ben altre sensazioni, ma, purtroppo spesso, confrontandomi con altri apneisti mi sento un "diverso". Ci tengo a portare l'esempio di questa disciplina, viziata dalla ricerca a tutti i costi della preda, e da inutili mattanze, con le prede che puntualmente vengono vendute a ristoratori compiacenti anche da parte di chi non avrebbe bisogno di farlo.
    Sinceramente questo è un argomento che mi coinvolge molto e spero di poter vivere presto l'emozione, che ora mi immagino come quasi " mistica" del rilascio di una grande preda.
    Grazie per quello che trasmetti ...
    Giancarlo Capone

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  4. Ciao Giancarlo,

    già essere capaci di parlare di etica ed arrivare a liberare la prima spigola catturata a spinning, significa tanto, anzi, oserei dire TUTTO! La tua disciplina (la pesca in apnea), poi, è viziata (purtroppo) da quell’italico non-senso civile che, in realtà, è comune a tante altre specialità della pesca, senza alcuna eccezione! Persino, e mi duole dirlo, da una combriccola di pescatori a mosca in mare che, per ciò che fanno e per dove lo fanno, possono essere solo paragonati ai più squallidi bracconieri!
    Rimane la realtà, indipendentemente dalla tecnica usata, di sentirsi “diversi” o, come diceva Luigi in un intervento precedente, degli “inguaribili sognatori”, ma alla fine ciò che maggiormente conta è la personale capacità di saper vivere il mare al di là della cattura e quanto tutti noi riusciremo a trasmettere alle generazioni future.
    Spesso mi ritorna in mente una guida Maya che avevo conosciuto in Messico e che, dopo avermi fatto catturare un pesce, lo slamava personalmente, lo riossigenava, lo liberava e per qualche minuto pregava in silenzio, ringraziando il pesce di averlo fatto lavorare e augurandogli di vivere in salute e di continuare a farlo lavorare.
    Per un essere umano le cui condizioni di vita possono essere difficilmente paragonate a quelle di un occidentale medio, l’immensa dignità e il senso di responsabilità manifestato con questi comportamenti lo pongono ben al di sopra di tutti noi e, come minimo, andrebbe additato come esempio da imitare!

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