Frugando tra gli archivi del computer
ho trovato un mio vecchio articolo, scritto alla fine del 2004, durante la
collaborazione con la rivista “La Pesca Mosca e Spinning” e pubblicato qualche
mese più tardi. Solo la grande lungimiranza del direttore, Eugenio Ortali,
permise la sua pubblicazione, anche perché non parlavo esattamente di tecnica
di pesca. Eppure, ancora oggi, quell’articolo per me significa tanto. Ricordo
perfettamente la notte in cui lo scrissi; era dicembre e a Porto Ottiolu, dove
mi ero trasferito da qualche mese, nevicava: cadevano fiocchi giganteschi e la
maggior parte di loro si scioglieva come toccava terra. Ero seduto di
fronte al caminetto, al buio e la luce riflessa della luna creava una
scena irreale. In un impeto di masochismo ebbi la pessima idea di fare i conti
con la mia vita.
Andavo verso i quarantaquattro anni. 4+4. Il numero sacro e
perfetto; la somma perfezione del doppio che genera l’ottagono regolare della
Verità e della Giustizia. No, non mi ero fumato una canna, ma i pensieri, i
ricordi ed i rimpianti venivano a galla come un parossismo morboso e
mi misi a scrivere sul computer “un pezzo” che aveva a che fare più con la mia vita che con la tecnica di pesca. Era come se avessi
già vissuto 3 vite. Facevo i conti con tutto ciò che avevo perso nella prima, poco più che ventenne, a favore dell’inseguimento di un sogno che poi si era dissolto non appena lo avevo toccato, qualche anno più tardi. Avevo poi
cercato la via della normalità, fallendo malamente nei principi che ne avevano
dettato la scelta. Oggi ringrazio Posidone per avermi fatto vivere quella prima
vita, perché tutto sta tornando esattamente lì, da dove tutto era iniziato.
Dubito che per voi le parole che
seguono possano avere lo stesso significato che hanno per me, ma mi piace
l’idea di risvegliare questo articolo dal suo oblio.
Io e il mare
La
vera pace di Dio comincia in qualunque luogo che sia mille miglia distante
dalla terra più vicina.
Non so quanto essere d’accordo con questa visione di pace divina di Joseph
Conrad, ma so di sicuro che il mare riesce ad infondere una forte sensazione di
pace terrena e, dal mio punto di vista, è proprio quella sottile linea di
confine tra mare e terra, sia essa un’isolotto che spunta da una laguna
tropicale o una scogliera che si erge sul tumulto del mare, a proferire agli
umani sensazioni di quiete e la palese manifestazione fisica del concetto
filosofico dell’estasi.
Credo, infatti, che in ogni pescatore
sportivo la componente passionale non sia tanto il pesce, quanto l’acqua!
L’acqua intesa come elemento, con tutto ciò che la moderna concezione della
retrospettiva analitica ci possa o ci voglia far vedere: la memoria ancestrale
della creazione molecolare, la fonte della vita e della sapienza, il richiamo
alla condizione embrionale nella pace della placenta e chi più ne ha più ne
metta. Personalmente considero questo tipo di elucubrazioni una sorta di
psicologia da quattro soldi, di quella più adatta alla riviste di pettegolezzi
o all’analista di turno dei talk show televisivi, che non un vero elemento di
approfondimento per tentare di dare una spiegazione logica ad una passione che
non conosce confini, quella dell’acqua.
Per un pescatore sportivo una
giornata memorabile può essere rappresentata anche solo dalla visione
dell’acqua: un grande fiume che scorre tra le rocce esaltando i chiaroscuri
delle acque in cui si riflette il cielo terso d’aprile; un lago che con la sua
placida quiete amplifica quel meraviglioso suono della natura che si chiama
silenzio. E poi il mare! Quell’immensa distesa di acqua che si staglia tra te e
l’infinito, a volte piatta come le nuvole primaverili, a volte
caotica e aggressiva come un’orda selvaggia. Il mare è come una freccia che ti
si pianta dritta al cuore, che ti toglie il respiro come la prima volta che hai
guardato una donna con gli occhi della passione e le hai detto che l'amavi e
che l'avresti amata per sempre.
“Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo
quando lo amano. A volte coloro che lo amano ne parlano male. Ma sempre come se
parlassero di una donna. Alcuni fra i pescatori più giovani, di quelli che
usano i gavitelli come galleggianti per le lenze e avevano le barche a motore,
comprate quando il fegato di pescecane rendeva molto, parlavano di el mar al maschile. Ne parlavano come di
un rivale o di un luogo o perfino di un nemico. Ma il vecchio lo considerava
sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e
se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle.” (Il vecchio e il mare – Ernest
Hemingway).
E’ difficile non amare il mare, ma è
praticamente impossibile, dopo averlo conosciuto, riuscire a separarsene. Il mare
è come l’eternità stessa, o per dirla con le parole di Arthur Rimbaud,
l’eternità non è altro che il mare
mescolato al sole. E’ strano come, a volte, quando non lo puoi vedere
direttamente, ti basta poterlo sentire. E’ come un profumo che ti esplode
dentro i polmoni e ti scioglie il sangue nelle vene, un suono sordo che
manifesta la sua forza e ti accoglie nelle sue membra.
Parecchi anni or sono, subito dopo la
laurea mi ero trasferito a Parigi e, dopo quasi dieci mesi di segregazione territoriale all’interno
della metropoli, un amico francese mi chiese se non provassi la nostalgia del
mare. Credo che i miei occhi abbiano preceduto qualsiasi parola potesse essere
profusa dalla bocca o forse solo implorato con uno sguardo un aiuto che non avevo il
coraggio di chiedere. Qualunque sia stata la ragione so’ solo che dopo nemmeno
venti minuti eravamo sulla sua 2CV con destinazione Deauville, in Normandia.
Era primavera, ma primavera nordica. Cumuli nubiformi immensi e resi ancor più
imponenti dagli alti cieli del nord Europa viaggiavano veloci sopra la nostra
testa, spinti da un vento che lasciava preludere ad un mare tutt’altro che pacifico.
All’altezza di Liseux, poche decine di chilometri prima di Deauville, potevi
già sentire la salsedine nell’aria e lo stridore dei gabbiani; in quel momento
mi importava davvero poco di tutta la bellezza architettonica del paesaggio
circostante che mi veniva descritta: avevo bisogno di vedere il mare, di
sentire il suono grave dell’onda che si frange sulla costa e ti percorre il
corpo come un diapason, di respirare l’aria satura di salsedine sputata in
faccia dal vento, di vedere il bianco della schiuma che contrasta con il colore
plumbeo del mare d'inverno. Poco più tardi vidi lo spettacolo grandioso della scaduta
oceanica, lì dove l’Atlantico viene imbrigliato nel canale della Manica.
Ho sempre pensato, poi, che quella
breve gita fosse, in realtà, un appuntamento con il destino. Era il 1986 e per
la prima volta vidi dei pescatori che lanciavano in mare delle anguilline
siliconiche attaccate a dei galleggianti ad acqua. Credo che la mia passione
per la pesca da terra con gli artificiali sia nata in quell’occasione, anche se
in quel momento era sufficiente lo spettacolo che si offriva ai miei occhi.
Oggi, ripensando a quel momento mi tornano in mente le parole di Alessandro
Baricco in Oceano Mare: “Se uno fosse davvero capace, gli basterebbero poche
parole… Magari inizierebbe da tante pagine, ma poi, a poco a poco, troverebbe
le parole giuste, quelle che dicono in una volta sola tutte le altre, e da
mille pagine arriverebbe a cento, e poi a dieci, e poi le lascerebbe lì, ad
aspettare, finchè le parole di troppo scivolerebbero via dai fogli, e allora ci
sarebbero solo da raccogliere quelle che restano, e stringerle in poche parole,
dieci, cinque, così poche che a furia di guardarle da vicino, e di ascoltarle,
alla fine te ne resta in mano una sola. E se la dici, dici il mare”.
Le sue creature.
Fin da ragazzino ho considerato il
mare come un luogo dove il tempo fisico e quello metafisico si incontrano e si
fondono insieme, dove la meccanica dell’esistenza si scontra con l’infinito e
dove la ragione si perde nel sentimento. A 13 anni ho iniziato le mie prime
immersioni subacquee e a 14 anni mi regalarono un arbalete, un fucile subacqueo
con il quale effettuai le mie prime catture durante l’estate successiva. La
passione durò qualche mese, finchè un giorno, inseguendo un polpo che invano
lasciava nuvolette d’inchiostro nell’acqua, riuscii, finalmente, a stringerlo
contro una parete di roccia nel sottocosta. Ebbi giusto il tempo di prendere la
mira che lui raccolse con i tentacoli dei ciottoli dal fondo e li mise a
protezione del proprio corpo. Ancora oggi ricordo perfettamente il colpo secco
dell’arpione contro il ciottolo di pietra, il polpo che fugge e l’acqua che mi
passa attraverso il boccaglio per una non celata espressione di stupore. Avevo
iniziato e chiuso il mio ciclo di pesca subacquea grazie ad un cefalopode che
mi aveva fatto capire l’importanza della sua sopravvivenza (sarebbe meglio dire
che mi aveva fatto fesso). L’arbalete finì in soffitta e da quel giorno iniziai
a guardare le creature del mare con un occhio diverso.
Fu la scoperta della pesca con gli
artificiali a farmi abbandonare, molti anni più tardi, tutte le altre passioni:
gli artificiali misero in pensione ogni altro "sport", sebbene la natura del trekking
estremo coesiste, anche se in forma minima, con lo spinning in mare.
Inizialmente mi piaceva sopratutto l’idea di catturare un pesce servendomi solo
di un pezzo di legno appena forgiato, a cui dovevo dare un’anima con i
movimenti della canna e del recupero; mi sentivo una sorta di apprendista stregone
che poteva dispensare vita e morte a suo piacimento.
Ai tempi, come la maggior parte dei
pescatori, sentivo l’adrenalina scorrere nelle vene non appena mi accorgevo che
dall’altra parte della lenza c’era qualcosa che combatteva e la cattura della
preda sembrava l’epilogo naturale di quell’azione ancestrale e primitiva che
chiamiamo pesca. Più tardi, quando le catture diventarono più frequenti, mi
venne spesso in mente il polpo che mi fece abbandonare l’idea della caccia
subacquea. Più ci ragionavo sopra e più capivo che la cattura non era altro che
l’attimo culminante di un tempo dilatato, fatto di lunghe osservazioni, di
decisioni che devi prendere sommando una serie di costanti che provengono
dall’esperienza. E in quel momento che capisci che la preda allamata non è
altro che una somma di tanti fattori precedenti, che combatte non per il tuo
divertimento, ma per la sua sopravvivenza. E’ in quello stesso istante che
capisci che anziché dispensare la vita e la morte, puoi solo regalare la prima;
imparare a liberare un pesce dopo averlo allamato ha rappresentato, almeno
nella mia modesta esperienza, la soddisfazione più grande della vita da
pescatore. Poter godere del mare, dei suoi paesaggi mutevoli ed incontaminati,
capirne i suoi segreti e rispettarne le sue creature mi ha aiutato tanto! Ad
osservare il mare ci si può specchiare nella nostra stessa esistenza.
Saper osservare.
Osservare! Già, un verbo davvero poco
diffuso tra i pescatori in SW. Ogni tanto vedo qualche spinner che lancia in
continuazione i suoi artificiali e sembra più attento alla statistica della
copertura d’acqua in termini di metri percorsi che non ad accorgersi di ciò che
gli avviene intorno. Ho perfezionato l’idea dell’osservazione qualche anno fa,
quando ho iniziato a pescare anche a mosca in mare. Forse l’attrezzatura ostica
e lenta, almeno rispetto allo spinning, forse la mia scarsa capacità di gestire
per ore ed ore la coda di topo senza stancarmi, mi hanno portato ad osservare,
ragionare e poi lanciare. Forse questo è l’aspetto più bello e poetico della
pesca a mosca in mare; di sicuro sintetizza la perfezione, almeno nel suo
concetto più astratto e filosofico; di certo è la motivazione che porta tanti a
vedere solo questa tecnica come il sunto di tante abilità raggiunte.
La cosa buffa è che spesso, molti
SWFF sono invece talmente concentrati sulle evoluzioni della coda di topo che
osservano poco o niente quanto accade intorno. Come sempre la verità sta nel
mezzo ed è questa la ragione per cui mi piace l’idea di considermi un pescatore
con gli artificiali, indipendentemente che questa tecnica sia esercitata con lo
spinning o con la pesca a mosca.
Di certo continuo a credere che il
mare ti racconta tutto o quasi, basta saperlo leggere. La corrente ti indica
come si posiziona un predatore, la schiuma ti lascia capire dove potrebbe
stazionare, lo spazio tra un’onda e l’altra ti dice dove sono gli ostacoli
sommersi, un breve bagliore attraverso l’acqua ti fa intravedere la dimensione
ed il colore dell’artificiale che devi usare.
E’ tutto lì, scritto su quella
superficie che si estende tra te e l’infinito.
E se poi ti fermi per un istante ad
osservare la tua sagoma riflessa in uno specchio d’acqua tranquilla, ti sembra
che il tempo non sia altro che lo stupido retaggio della nostra cultura; puoi
vederti vecchio o bambino e tutta la tua esistenza scorre davanti agli occhi
senza principio ne fine. In quei momenti hai la fortuna di essere lontano dalle
miserie umane e ti ritrovi sospeso tra il cielo, la terra ed il mare; lui, IL MARE, è lì
che ti osserva e probabilmente, per tutto ciò che ti offre, chiede in cambio solo un
po’ di rispetto.
Un texto muy hermoso y lleno de sentido. Nací y vivo en una isla. Quizás por eso no entiendo un horizonte sin su mar y comprendo el infinito que nos trae.
RispondiEliminaA veces creo que no son los peces, ni la pesca, lo que nos ha traído hasta aquí. Es la mar.
Un abbraccio, Alessandro.
:-) Muchas gracias Curro!
EliminaE' difficile penetrare nel vero significato di quello che scrivi, sono sensazioni ed effetti che dipendono molto da quello che TU stavi cercando.
RispondiEliminaIo dico sempre che per me la pesca è un filo teso verso un mondo che non possiamo penetrare veramente, una "sonda" verso un universo parallelo e misterioso, un "telefono" verso la parte più difficile della Natura, quella della vita selvatica sottomarina.
Capirai che, in tutto questo, la cattura è veramente l'atto finale, la conferma (o meno) di quello che avevamo immaginato, ma nulla di più. Niente a che vedere con atavici richiami alla caccia, imprescindibile istinto a prelevare dalla natura, improponibili bisogni alimentari o, ancora peggio, emotivi, al pari di quelli soddisafabili in qualunque "divertimentificio".
Ciao Domenico, come non essere d'accordo con le tue parole!
RispondiEliminaSi, sono pensieri molto personali, ma mi fa veramente piacere che siano stati apprezzati da molti: è il secondo post più letto del blog!
Ciao Alessandro qualche giorno fa ho visto un vecchio video su youtube dove pescavi con una cape fear.
RispondiEliminaTutti i gesti che fai sono davvero eleganti, troppo avanti anche per il 2012.
Questo pezzo mi tocca particolarmente perché anche io sono stato a Parigi fra l' 88 e il 90 gran parte del soggiorno obbligato dal cancro, Capisco bene le tue sensazioni, conosco quel cielo, ho i cassetti della memoria colmi di quei colori e odori.
Ho visto lanciare i primi rotanti nelle verdi acque della senna, i rotanti sono le prime esche che ho utilizzato in mare.
Questo pezzo che hai scritto è elegante, sentito, vero.
Grazie.
Gianluca Sulas
Ciao Gianluca,
Eliminami dispiace che il tuo soggiorno in Francia sia stato meno piacevole del mio e comunque grazie dei complimenti! Il casting, malgrado i limiti tecnici dell'applicazione in mare, mi ha sempre affascinato per l'eleganza dell'azione, simile (nel concetto di bellezza estetica) a quella della pesca a mosca.
Qualche anno fa scrissi un'articolo comparando le tecniche "ostiche" (jigcasting e flyfishing in mare) al rapporto tra analogico e digitale nella fotografia ...... non l'ho mai spedito ad alcuna redazione per la sua pubblicazione, ma se riesco a recuperarlo nei meandri del mio archivio lo pubblicherò in questo blog.
Ciao alessandro...ogni volta che leggo questo blog,ogni articolo, quel che provo non l'avevo mai provato prima d'ora, video e frasi che sembrano quasi voler obbligare i nuovi spinner come me al c&r. Non sono mai entrati nel mio cuore come le tue parle...devo ammettere che qualche pesce dal mare lo prelevo,ma, leggere queste riflessioni sta in qualche modo cambiando il mio modo di pescare e di vedere la pesca!Per quanto riguarda l'amore verso il mare spero che un giorno questo mio sentimento ormai "morboso" torni ad essere un sentimento "sano" !:D I miei più sinceri complimenti per quel che riesci a trasmettere a noi lettori, massima stima
RispondiEliminaCiao Mauro, intanto grazie per i complimenti!
RispondiEliminaCercare di portare i giovani verso l'amore ed il rispetto nei confronti del mare è lo scopo principale di questo blog e mi fa un'immenso piacere che le mie parole non siano gettate al vento.
Io ho avuto la fortuna di conoscere una stagione di pesca favolosa, quando uscire la notte con le condizioni di marea e di luna giuste portava alla cattura di 3 o 4 spigole e, magari, ti lamentavi che qualcuna di esse era sotto i due chili, oppure quando in barca, già a trecento metri dalla riva, potevi scegliere tra 5 o 6 mangianze diverse, o ancora quando arrivavi a prendere e rilasciare 55 barracuda in una notte!
La mia generazione ha sprecato tutto questo e l'unica speranza per evitare che il mediterraneo diventi una pozza priva di vita siete voi! Non è necessario diventare un talebano assoluto del C&R, ma già un prelievo ragionato è un passo avanti notevole, che molti non riescono nemmeno ad immaginare.
Un saluto