venerdì 4 dicembre 2009

Circle Hook - parte I

Circle hook!
Efficacia o mistificazione? Ad onor del vero è più la gente che ne parla di chi lo usa realmente, al di là di qualche sporadico caso. Parlare di ami senza conoscerne le caratteristiche principali è come discutere sul sesso degli angeli, pertanto conviene partire proprio da questo.

Un amo, di base, è composto da 6 aspetti principali che ne configurano la tipologia ed il loro uso; ovviamente ne esi
stono delle altre, ma queste fanno parte più della specificità di alcuni “tecnical hook” che non delle caratteristiche generali.
Questi sei aspetti principali sono: Eye (occhiello), Shank (gambo), Bend (curvatura), Point (punta), Gap (spacco) e Offset angle (angolo di decentramento). L’occhiello di un amo può essere in piano con l’asse del gambo oppure avere un angolo di curvatura, essere allineato o perpendicolare alla curvatura, cavo o piatto, chiuso o aperto (Siwash), a sua volta il gambo può variare in lunghezza o presentare gobbe o curvature, la curvatura può avere diversi livelli di inclinazione o perfino doppie inclinazioni (un’unica curvatura con angoli diversi di incidenza e raccordo), la punta può variare per essere parallela al gambo o rientrante, lo spacco può essere più o meno ampio. Tutte queste caratteristiche diverse hanno dato vita ad un’infinità di tipologie di ami che ricordarle tutte sarebbe impossibile. Il circle hook, secondo la definizione della ASMFC (Atlantic States Marine Fisheries Commission), è un “non offset (angle) hook with the point turned perpendiculary back to the shank”, cioè un amo privo di angolo di decentramento con la punta rivolta perpendicolarmente verso il gambo. Sebbene la sua definizione ufficiale sia un pochino troppo sintetica, possiamo comunque definirla accettabile e vedremo più avanti ulteriori caratteristiche necessarie per il suo corretto uso con le esche artificiali, sia a mosca che a spinning.

Intanto vediamo la sua storia ….. “inventati dai giapponesi” esordiscono in tanti, fatto salvo il misconoscere che erano già esistenti ed in uso presso le popolazioni Pre-Colombiane della America Latina ricavati dall’interno di una conchiglia di mare e presso i Nativi Americani del Pacifico, ric
avati dal legno poi indurito con il fuoco. In entrambi i casi le forme erano incredibilmente simili a quelle attuali. Ai reperti archeologici si aggiunge una moderna favola americana: nel lontano 1920 Drew McGill si trovava lungo le rive del Colorado. Pescava a mosca, ma la giornata non era stata delle più favorevoli … le raimbow trout erano smaliziate e molto difficili da ferrare. Durante una breve pausa per pulire la pipa Drew vide una grossa aquila scendere su un ramo di un vicino albero ed ebbe modo di osservare come la curvatura dell’unghia penetrasse profondamente nel legno garantendo una salda presa. Folgorato dall’idea Drew modificò con le pinze la punta dei propri ami, facendola rientrare verso il gambo per poi riprendere a pescare e notarne l’efficacia con le stesse raimbow trout precedentemente non allamate. Questa è sinteticamente la storia di uno dei fondatori della Eagle Claw, azienda produttrice di ami tra le più note al mondo, ma ciò ci dice anche che ben poco è stato poi inventato dai giapponesi in merito ai circle hook, se non quello di averli utilizzati in modo massiccio per la pesca professionale con le longlines. La grande attenzione che viene messa sull’efficacia dei circle hook, indipendentemente dal tipo di pesca effettuata, è la capacità di ferrare un pesce sulla mandibola, anziché nel profondo della gola. Paradossalmente questa considerazione trova sia i favori della pesca professionale di tipo industriale, che degli angler attenti ai problemi della conservazione ambientale; nel primo caso abbiamo un uso massiccio dei circle nelle longlines, dove la velocità di slamatura di un pesce consente di rimettere velocemente in pesca l’attrezzatura e quindi ottimizzare il prelievo. Nel secondo caso, invece, abbiamo la possibilità di ferrare un pesce sulla mandibola e quindi evitare danni fisici (come nel caso di un’allamata profonda in gola) per il rilascio del pesce. Sui circle hook sono stati condotti un’infinità di studi scientifici; tra questi ricordiamo quelli di Caruso del 2000 sulle striped, quelli di Lukakovic del 2000, del 2001 e 2002 sempre sulle striped; quelli di Prince del 2002 sui rostrati, quelli di Skomal del 2002 sui tonni e quelli di Aguilar del 2003 sui red drum. Queste ricerche sono state tutte improntate sui livelli di mortalità del pesce poi rilasciato e sul livello di allamata (mandibola o gola) indipendentemente dal tipo di tecnica di pesca usata, ma non possiamo non considerare i due aspetti principali che risultano da questi studi, e cioè: - che il livello di mortalità del pesce rilasciato (sebbene calcolato solo sul rischio e non sulla verifica) è molto basso: da uno 0% fino ad un massimo del 12% per il circle e da un 8,40 % fino ad un 36 % per il “J” hook. - che nell’uso dei circle la maggior parte delle allamate (dal 74 al 98 %) è avvenuta nella mandibola.

Attenzione, p
erò: non tutti i circle hook sono uguali e non tutti hanno la stessa efficacia sul rilascio del pesce. Un circle hook efficace deve innanzitutto avere la punta rivolta perpendicolarmente al gambo, quindi con un angolo di 90°, poi deve essere sottile per favorire la penetrazione, ma, soprattutto, DEVE ESSERE BARBLESS, cioè deve essere senza ardiglione. L'ardiglione, che possiamo eliminare semplicemente schiacciandolo con delle pinze, rappresenta un impedimento alla penetrazione dell'amo e la sua assenza non comporta la perdita del pesce allamato, che viene tenuto in trazione dalla curvatura dell'amo stesso. Ovviamente il vecchio detto anglosassone thigt lines, qui diventa un imperativo categorico …... o abbiamo la capacità di tenere una lenza in tensione durante il combattimento oppure dedichiamoci ad altro perché la pesca sportiva non fa per noi!!!!!!!!!!!!!!!!!!
. …............ continua




N. B.: Chi ha avuto la pazienza di seguire i miei articoli su la Pesca Mosca & Spinning negli anni passati e i documentari su Caccia e Pesca in quelli recenti, sa anche quanta attenzione ho sempre messo sull’importanza del rilascio di un pesce e quindi sull’applicazione di un Catch & Release ragionato, dove, nella maggior parte dei casi, il coronamento di un’uscita di pesca culmina con il rilascio di un pesce. Ho rotto le palle, mediaticamente parlando, sul C&R e sui Circle Hook fin dai primi anni 0 non perché li consideri un paravento sentimentale ad una tecnica di “predazione”, ma perché sono una necessità del nostro mare per poter ripristinare gli stock ittici e garantire una maggior qualità della pesca sportiva negli anni a venire.

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